ULAN BATOR, Nouvel Air (Alternative, 2003)

Gli Ulan Bator, certezza del nuovo rock francese, dimostrano con quest’album quanto sia stretto il loro rapporto con la musica italiana: la band di Amaury Cambuzat oltre ad avere nella sua line-up l’apporto alla chitarra di Egle Sommacal (ex- Massimo Volume), al basso di Manuel Fabbro e alla batteria di Matteo Danese (già con Meathead ed Here), presenta infatti in alcuni brani l’apporto strumentale di musicisti come Mario Simeoni e Massimo Gattel. Inoltre l’album è stato registrato in Italia (il suono è curato da Lorenzo Caperchi) e la copertina è stata disegnata da Andy dei Bluvertigo.
“Nouvel Air” presenta una vera e propria “nuova aria”: è il primo album dopo l’abbandono di Olivier Manchion, fondatore del gruppo nel 1995 insieme a Cambuzat, e si nota una ricerca sonora estranea a quanto finora mostrato nei precedenti lavori.

Lo scarto con il suo predecessore, l’ottimo “Ego:Echo”, è notevole: la forma-canzone non è più martoriata, non si ricercano nuove vie sonore, manca l’improvvisazione, i brani hanno una durata ridotta e la poetica rumorista viene sostituita da un’atmosfera da carillon, estasi della dolcezza. Un album che in brani come “Atmosphere” denota una cadenza inequivocabilmente pop. L’incedere di “Réalité” rimanda a passaggi della scena dark melodica, con gli strumenti impegnati in un soffuso rincorrersi: si nota alle spalle del gruppo l’apporto in studio di registrazione di Robin Guthrie, chitarrista-tastierista fondatore dei Cocteau Twins.
L’uso di strumenti quali l’organo hammond, lo xilofono, il violino, il flauto, il wurlitzer e il sassofono mostra un chiaro interesse ad ampliare ed arricchire la scelta sonora della band, che rimane comunque, per quanto possibile, fedele alla sua etica musicale, come dimostra l’irruenza di “Merci X Faveur”.

Un lavoro malinconico, ancora basato su testi onirici e capace di far spaziare la mente in cosmiche percezioni di passato, come la splendida title-track, adagiata sulla slide guitar di Egle Sommacal e sui riflessi spaziali creati dal violino di Massimo Gattel e dal flauto di Mario Simeoni. La nuova aria proposta dagli Ulan Bator di Amaury Cambuzat (oramai padrone indiscusso del progetto) ha i contorni di una ninna nanna dilatata, straziante e surreale, esemplificata dalla dolcezza senza fine di “Airlines”.

Un lavoro che si dimostra meno compatto e ispirato di “Ego:Echo”, con brani non tutti allo stesso livello e a tratti con la spiacevole sensazione di persistere in una situazione statica e monocorde. Ma quando il gruppo decide di volare alto (“Airlines”, “Réalité”, “Nouvel Air”, “Geisha Paname”) dimostra di avere ancora molto da dire, e di saperlo dire in maniera eccellente.

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