LOU REED, The Raven (Warner Bros, 2003)

Opera ultima del rocker ex-Velvet Underground, “The Raven” è una lunga e pretenziosa reinvenzione rock della vita e delle opere del poeta Edgar Allan Poe. Il disco, composto da 21 pezzi, è molto eterogeneo sia a livello stilistico (rock duro, ballate, readings, vera novità saliente del lavoro, piccoli intermezzi) e si avvale di numerosissime collaborazioni che ne impreziosiscono sia l’esecuzione che il valore artistico in sé.

Memorabile l’intervento della moglie di Reed, nonché collega di grosso spessore artistico, Laurie Anderson, in uno dei pezzi più riusciti, “Call On Me”, dove una soave atmosfera creata da piano e archi, sorreggge un breve recitativo di Laurie stessa. Come dicevamo, la vera novità è l’inserimento di alcuni readings sorretti dalla musica, “The Valley of Unrest”, “The Raven” e “Tripitena’s Speech” letti nell’ordine da Elizabeth Ashley (la meglio ispirata, una voce agghiacciante che crea la giusta tensione dopo un pezzo dolce come “Call On Me”), Willem Dafoe(grandioso il suo scandire così chiaro le tante assonanze della composizione) e Amanda Plummer.

“A Thousand Departed Friends” è un pezzo strumentale riconducibile alla produzione classica di Reed solista ovvero una composizione basata su tre-quattro accorti di base su cui si intersecano le chitarre distorte e, per questa occasione, un buon set di sax e tromba.

Stonano, se l’intento di Reed è quello di fare un concept album sulla figura di Poe, i rifacimenti di “The Bed” da “Berlin” del 1973, peraltro molto bella, e “Perfect Day” affidata qui alla voce da bluesman di Antony accompagnato solamente dalle tastiere.Abbiamo detto della presenza di brevi intermezzi, “Baloon”, piccola filastrocca cantata a cappella dalle soavi voci di Kate e Anna McGarrigle e “Hop Frog” che pur impreziosita dalla presenza di un superospite, David Bowie, passa sicuramente in secondo piano, e non mi sbilancio nel dire che è forse uno dei punti più bassi…il Duca meritava un trattamento migliore.

A prestare la propria voce anche Steve Buscemi per un’ originalissima (nel contesto del disco) “Broadway song”, di stampo Sinatriano.
L’autore si riappropria del suo lavoro dalla traccia 12 (“Blind Rage”) per sfoderare subito un pezzo che entra nella testa come pochi, “Burning Embers” cattivissima (come la voce di Reed) e dal ritmo ossessivo… “…walk on burning embers” vi rimbomberà nella testa per varie notti. “Vanishing Act” minimalista come poche altre canzoni (accordi di piano scanditi con lentezza infinita) ci regala, di seguito a quello più arrabbiato, il Reed più pacato del disco (e oserei dire della carriera).

Altre due divagazioni si concede Reed nel mondo del jazz e del blues con “Guilty”, che ha per super guest star il sassofono di Ornette Coleman a rendere bella una canzone altrimenti normale, “I Wanna Know (The Pit and the Pendulum)” dove le seconde voci blues di Antony a fare da controcanto, ci azzeccano sicuramente di più che in “Perfect Day”. Le perle finali “Who Am i? (Tripitena’s Song)” e “Guardian Angel” sono forse (assieme alla già citata “Burning embers”) i pezzi meglio riusciti e non a caso posti nel finale.

Soprattutto “Guardian angel” suona come un testamento artistico dai cori, dalle musiche e dai versi di una delicatezza infinita.
Se vi aspettate di trovare il buon vecchio Reed rocker (quello più all’antica lo rivediamo forse solo nell’iniziale “Edgar Allan Poe”), credo proprio abbiate sbagliato disco. Se invece, come è spesso successo, si cerca il poeta musicista, c’è parecchia carne al fuoco. Un lavoro dalle ampie contraddizioni questo “The Raven”, di mole forse eccessiva (i pezzi potevano essere all’inicrca dimezzati e ne usciva un capolavoro assoluto; pensare che è pure presente sul commercio una versione limitata da due cd…), che, al dire di Reed stesso può essere un disco che spacca la carriera, ma almeno gliela fa concludere alla grande…

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