PERTURBAZIONE, In Circolo (Santeria / Audioglobe, 2002)

Lo ammetto, lo ammetto: il ritardo con cui sono arrivato su questo “In circolo”, terzo album dei torinesi Perturbazione, ha del criminale, soprattutto in considerazione del fatto che, va detto onestamente, si tratta davvero di un gran bel disco.

Non si trova tanto spesso una band indie tanto coraggiosa e sincera da tentare una via personale al pop (termine che in tanti menti di gggiovane alternativo suona quasi come una bestemmia), con una grazia e un senso della misura davvero incantevoli, e non riesco a capacitarmi di come il sestetto rimanga colpevolmente sconosciuto ai più.

Echi dei migliori gruppi pop di ogni tempo (nomi sacri come XTC e Beatles) combinati con le asperità tipiche dell’indie rock si trovano in tutte queste quattordici tracce del disco, tra (pochi) bassi che appesantiscono un po’ il tutto e (moltissimi) alti: brani divertenti e contagiosi come “Mi piacerebbe”, “Il senso della vite”, la dichiarazione d’amore sui generis frantumata in mille schegge punkeggianti di “Fiat lux”, ma anche e soprattutto momenti di malinconia avvolgente e sincere confessioni di sapore generazionale (anche se per fortuna siamo molto lontani dagli stereotipi abusati sul trentenne che non vuole crescere). Stupendo sentire come la band riesca a disegnare melodie incantate, a coinvolgere e commuovere con pochi tratti di chitarra e un bellissimo violoncello, lasciando costantemente sullo sfondo la sezione ritmica.

Così, con semplicità ed eleganza, i Perturbazione (guidati in fase di produzione dalle mani sagge di Fabio Magistrali degli A Short Apnea) ci regalano alcune canzoni davvero indimenticabili, a partire dall’iniziale “La rosa dei 20”, passando per la robusta virata indie di “Rocket coffee” (una discesa a rotta di collo lungo un pendio, violoncello e chitarre che si studiano per tutto il pezzo, finendo per azzannarsi), fino agli sguardi venati di tristezza di “Iceberg” e al folgorante attacco di “Senza una scusa”, ai fremiti inquieti dell’unica traccia in inglese del lotto, “This ain’t my bed anymore”, vagamente Afterhours, fino ai singulti di chitarre, violoncello e glockenspiel che si allungano nel finale di “Per te che non ho conosciuto”. Su tutte, due perle assolute, dolci e consolatorie come l’abbraccio di un amico ritrovato: “Agosto” (semplicemente incantevole, non so parlarne in altro modo) e la conclusiva “I complicati pretesti del come”, resa ancora più preziosa dall’intervento della tromba di Cyril Phoa.

Disco davvero bello, elegante, fiero anche delle sue imperfezioni: “In circolo” è senz’altro uno dei dischi più belli del 2002. Non è tardi per (ri)scoprirlo, né è tardi per innamorarsene, come è successo a me. In maniera lenta, ma inesorabile.

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