THE ROLLING STONES, Forty Licks (ABKCO/Virgin, 2002)

Quaranta brani, uno per ogni anno di attività di quella che, nel 2002 declinante, si può ormai definire con una certa tranquillità la più grande rock’n roll band del mondo: al complesso dei meriti artistici vanno aggiunti la ininterrotta militanza e la costante qualità della produzione: nessuno come loro. Questa raccolta, la cui effettiva utilità è certamente discutibile, stimola se non altro a qualche breve appunto.

Lo spazio maggiore è riservato, com’era da attendersi, ai sixties: tutto il primo cd (con l’eccezione di “Wild Horses”). I grandi successi, tranne “Lady Jane” e qualche altra, ci sono tutti. “Satisfaction”, accostata ad altre ammiraglie, appare forse più invecchiata: i tre anni che la separano da “Jumpin’ Jack Flash” (che giganteggia sempre da par suo) o da “Sympathy For The Devil” si sentono. Come pezzi rock, tralasciando il valore storico, anche “Get Off Of My Cloud” e “Paint It, Black”, con la loro rabbiosa e ossessiva rapidità, suonano oggi più efficaci. “She’s a Rainbow”, derivato, com’è noto, della psichedelia beatlesiana (e delle predilezioni di Brian Jones), giustifica la sua presenza qui (e la sua parziale mancanza di spontaneità) con la persistente bellezza della parte vocale.

La compressione di un trentennio nel breve spazio del secondo cd finisce per penalizzare episodi significativi nella carriera degli Stones. Non c’è nulla di “Dirty Work”, mentre l’ultimo “Bridges To Babylon” è testimoniato unicamente da “Anybody Seen My Baby?”: avrebbero meritato di più “Flip The Switch”, uno dei pezzi migliori di tutta la carriera, o “Low Down”. Per fortuna c’è “Mixed Emotions”, con la quale le vecchie pietre chiusero gli ottanta dimostrando di essere tutt’altro che alla frutta.

Ad invogliare il fan – ma togliendo così ulteriormente spazio alle sorelle più anziane – sono stati piazzati quattro inediti appena sfornati: molto bella, nella sua luminosità, “Keys To Your Love”, dove Jagger dà fondo a tutte le sue risorse interpretative; di buon livello e piacevole anche “Stealing My Heart” (piuttosto curioso, per i Rolling, il trattamento della chitarra solista nella parte centrale); “Don’t Stop” è invece più corriva; “Losing My Touch” è il classico, e ormai immancabile, lento “alla Richards”, di impeccabile rigore: la voce del grande elettricista migliora con il passare degli anni, come il buon vino.

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