TOM WAITS, Franks Wild Years (Island, 1987)

L’Orco ormai non sbaglia un colpo neanche a pagarlo profumatamente. “Franks wild years” (titolo preso da una canzone presente in “Swordfishtrombones”, splendido album uscito quattro anni prima e prototipo della nuova fase dell’artista) ha come sottotitolo “Un operachi romantico in two acts” e nasce come lavoro teatrale scritto insieme alla moglie e musa Kathleen Brennan. E’, ancora una volta, un lavoro eccezionale, a volte in singolare equilibrio tra Howlin’ Wolf e Kurt Weill, a volte oscillante tra influenze europee ed incredibili slanci alla Frank Sinatra (la versione Vegas di “Straight to the top” e la successiva “I’ll take New York” sembrano provenire da registrazioni pirata di un The Voice in preda ad una colossale sbronza…).

La musica è sempre più precaria, come se venisse fuori da strumenti lasciati in una cantina per qualche decennio o fosse suonata da patetiche orchestrine di provincia. “Hang on St. Christopher” apre il disco ed è subito capolavoro, un blues compresso, brusco, saltellante, tenuto insieme da una vigorosa brass section, strapazzato dalla voce abrasiva di Tom e dalle geniali sonorità che Marc Ribot ricava dalla sua chitarra elettrica. La versione rumba di “Straight to the top” è assolutamente parossistica, irresistibile nel suo incedere potente e tribale; forse c’è già bisogno di un pacchetto di caramelle balsamiche per la preziosa ugola del californiano. Più avanti ci si imbatte in due tra le più belle ed emozionanti canzoni dell’intero catalogo waitsiano: “Innocent when you dream”, proposta in due versioni, “Barroom” e “78”, è semplicemente una melodia indimenticabile, malinconica ed evocativa, un lussuoso vestito sonoro che avrebbe potuto indossare solo Marlene Dietrich. Il secondo gioiello è la meravigliosa ed amara “More than rain”: un organetto mette insieme qualche nota e se provate a chiudere gli occhi esso vi condurrà in qualche viuzza in un paesino dell’Europa Centrale… Tra le proposte più aggressive ed incalzanti dell’album segnaliamo invece la stupefacente “Telephone call from Istanbul, un rugginoso e scarno “blues al Mar di Marmara”!

E’ davvero incredibile come questo grande americano abbia assorbito culture così diverse e lontane, facendole convivere attraverso la sua felicissima creatività che lo rende uno degli artisti più veri e completi mai apparsi nel panorama musicale. “Franks wild years” è un’opera (pardon, operachi) basilare, esempio illuminante di cultura a tutto tondo, da fare sentire ai propri figli come parte rilevante – sezione musica – di un grande e serio progetto educativo.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *