NICK CAVE AND THE BAD SEEDS, The Firstborn Is Dead (Mute, 1985/1988)

Il primogenito è morto. Il secondo album solista dell’ex leader dei Birthday Party è sulla stessa lunghezza d’onda ideologica dell’esordio, l’eccellente “From Her To Eternity”. Ancora accompagnato dai Bad Seeds – a Bargeld e Mick Harvey si aggiunge anche Barry Adamson -, ancora con in mente spettrali memorie e storie di scomparsa, rinascita, pioggia e devastazione dell’anima, Cave scrive in quest’album alcune dei suoi brani fondamentali.

L’angoscia è il sentimento più comune all’ascolto delle otto tracce, quell’angoscia che ti si attacca addosso, ti perseguita, ti insegue, modellata sulla voce catatombale e carica di rabbia e rassegnazione. Una voce che è quasi uno strumento aggiunto, come nell’onomatopeico attacco di “Train Long-Suffering”, una delle suite più riuscite, incalzante canto da lavoro, come piace molto al cantautore australiano in questo periodo – e “Well of Misery” dell’album d’esordio ne è la controprova.

Come il lavoro sia intriso di reminiscenze da film hollywoodiano, di ricordi impossibili e di suggestioni dettate dalla cultura americana degli stati del sud, emerge palese nella canzone guida, il brano che per lungo tempo accompagnerà il nome di Cave sulla bocca degli addetti ai lavori e degli appassionati: “Tupelo”. La canzone narra di una tempesta improvvisa che si abbatte sulla città di Tupelo: abbondano i riferimenti ai cataclismi biblici, ai segni premonitori della nascita di Cristo, e Nick ricollega la nascita del figlio di Dio per i cristiani alla nascita di quello che fu definito “il re del rock”, ovvero Elvis Presley. E c’è sempre stato chi ha ritenuto Cave un cantautore troppo serioso!!!

Altri capolavori sono sicuramente “Say Goodbye to the Little Girl Tree”, che anticipa le “murder ballads” che esploderanno di lì a poco come punto fermo della musica di Cave. Qui si narra di un uomo il cui amore per una bambina lo porta a desiderare che lei non cresca mai; l’anomalia rispetto allo schema classico della ballata omicida è che qui l’uomo, invece di uccidere, finisce per uccidersi. “Knockin’ On Joe”, sorretta dal pianoforte e dall’armonica è una straziante ballata su un carcerato che, dopo aver tentato l’autolesionismo, trova una speranza nella memoria della donna amata. C’è poi spazio per la cover di “Wanted Man” di Bob Dylan e per i due brani finali, che vanno a chiudere un album egregio, ispirato dai demoni interiori di Cave come dal blues, da Elvis Presley come da John Lee Hooker.

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