BUILT TO SPILL, Ancient Melodies Of The Future (Warner, 2001)

Il destino può essere davvero stravagante. I Built to spill sono da tempo uno dei migliori gruppi che possiate avere la fortuna di ascoltare, all’altezza di Pavement, Modest Mouse e Grandaddy per intendersi. Il loro precedente lavoro in studio, “Keep It Like A Secret”, è uno di quei dischi di cui è impossibile non innamorarsi. Canzoni struggenti e rabbiose, chitarre slabbrate tra Neil Young e Pavement e un mucchio di cose da dire.
Un disco che suona come la migliore colonna sonora possibile dei vostri giorni. Tuttavia il destino può giocare strani scherzi. Così l’ultima fatica dei Built to Spill in Italia non è arrivata. Un vero peccato. Perché “Ancient Melodies of The Future” è il solito grande disco dei Built to Spill, con la consueta impeccabile produzione di Phil Ek.
Più soffuso e smorzato rispetto a “Keep it like a Secret”, giusto più lieve e contenuto.

Un disco comunque eccellente, in cui il talento di Doug Martsch, detto per inciso uno dei più dotati musicisti della sua generazione, ha scelto di concentrarsi sulla scrittura di canzoni quasi classiche. Cominciando dalla chiusura dell’album, l’incantevole “The Weather”, una canzone d’amore con la stessa placida atmosfera acustica dei R.E.M. di qualche tempo fa. Canzoni classiche come “The Host”, appoggiata su una distesa di tastiere, intima come certi Mercury Rev. Tutto quanto porta comunque la firma inconfondibile di Doug Martsch, il suo timbro di voce acuto e quel tocco doloroso di cui si nutrono i suoi brani, dal momento più pop, un prodigio chiamato “Fly Around My Pretty Little Miss”, fino agli scuri intrecci di chitarre di “Trimmed and Burning” e “Dont’ Try”.

Concludendo con “Strange”, il gioiello che apre Ancient Melodies nel modo più familiare per i Built to Spill, chitarre aspre e melodia sofferta.
Il consiglio è di cercare questo disco, per quanto sia difficile rintracciarlo. Ne vale assolutamente la pena.

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