TORI AMOS, Strange Little Girls (Cgd, 2001)

Partiamo da un luogo comune: si pensa che l’artista che decide di pubblicare un album di sole cover sia artisticamente a secco, privo di idee, a corto di ispirazione. Forse. Una cosa è certa: chi intraprende un progetto artistico di questo genere o crea un capolavoro o rischia di andare incontro ad una clamorosa cantonata. Quest’ultima ipotesi sembra purtroppo riguardare il disco di Tori Amos “Strange Little Girls”, disco decisamente palloso, buono forse solo per i fans irriducibili della cantautrice americana.

Rispolveriamo un altro luogo comune, questa volta inconfutabile: l’artista/compositore che si dedica ad una cover non presta solo la propria voce ed il proprio strumento, ma anche tutta la propria anima, infondendo ai brani qualcosa che faccia dire all’ascoltatore: “Sì, so che questo brano è di…, però se non lo sapessi direi che è proprio una canzone di…”. Tori Amos ha tenuto ben a mente questo dogma, e così si è divertita a stravolgere allegramente canzoni più o meno conosciute di illustri colleghi (rigorosamente uomini), forgiandole, a quanto sembra, a propria immagine e somiglianza. Purtroppo chi ascolta non sempre può intuire siffatto godimento intellettuale. I brani vengono ricoperti completamente da una patina di esagerato intimismo tendente al tragico, rendendo il disco irrimediabilmente piatto. E così, passare dai Depeche Mode a Neil Young, dai Velvet Underground agli Slayer, diventa una passeggiata, una lunga e noiosa passeggiata attraverso una pianura tutta uguale.

Il progetto nasce pretenzioso: interpretare canzoni maschili con il cuore di una donna, anzi, con il cuore di 13 donne differenti, come testimonia il booklet del CD, in cui la nostra veste i panni di diversi esemplari femminili. A questo punto, i brani assumono forme e sembianze inedite e, purtroppo, non sempre riuscite. La tendenza è verso il minimalismo estremo, che fa tanto sofisticato e ricercato. La canzone d’apertura, “New Age” dei Velvet Underground, viene sostenuta da un tenue piano elettrico vibrato su cui Tori Amos, dalla voce indiscutibilmente virtuosa, interpreta il brano con invidiabile sensualità. “Enjoy The Silence” dei Depeche Mode viene letteralmente denudata, ricoperta in maniera imbarazzante solo da un velo di pianoforte ubriaco. Stesso destino tocca a “I’m Not In Love” dei 10cc; un tempo irrinunciabile “must” delle compilation romantiche, oggi per mano di Tori Amos diventa un buon sonnifero, magari da rivoltare contro maschietti eccessivamente ringalluzziti. Pochi e timidi guizzi di gioia traspaiono da questo disco; la title track, degli Stranglers, ridona temporaneamente vivacità ad un’atmosfera di totale calma piatta.
Naturalmente da una parte si toglie e dall’altra si aggiunge. “Happiness Is A Warm Gun”, splendida canzone del Lennon dei tempi dell’Album Bianco, viene stravolta nella sua semplicità e diluita in dieci minuti di armonie fisse, voci fuori campo e chitarre impazzite.
Ovviamente non si vanno a criticare le soluzioni stilistiche e o le scelte artistiche; ciò che infastidisce è l’estrema piattezza di questo lavoro che annoia e non convince. A nulla giova la presenza di illustri musicisti che affiancano Tori Amos in questo disco; uno su tutti: Adrian Belew, chitarrista dei King Crimson, abituato a ben altri tipi di sperimentazione.

In sostanza, questo “Strange Little Girls” è riservato esclusivamente ai fans più accaniti, ed anche a questi è vivamente consigliato di non ascoltarlo in automobile; c’è il rischio di clamorosi ed inaspettati colpi di sonno.

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