Intervista agli Stereolab

Gli Stereolab festeggiano con il nuovo album “Sound-Dust” dieci anni di attività, un traguardo importante in una scena musicale, come quella odierna, che “brucia” facilmente molti artisti. Il loro è un sound del tutto originale, un nuovo tipo di pop evoluto, da alcuni chiamato “post rock”, con echi di Robert Wyatt, Burt Bacharach e Brian Wilson, la lounge anni 60 con la scuola canterburyana e un tocco di elettronica tedesca.

Le menti del progetto sono il chitarrista Tim Gane e la cantante parigina Laetitia Sadier (anche tastierista e trombonista), autori di testi e musiche. I due si sono incontrati per la prima volta a Londra nel 1991e sembrano un versione aggiornata di Daevid Allen e Gilly Smith. Accanto a loro c’è Mary Hansen alla seconda voce, Andy Ramsay alla batteria, Simon Johns al basso e un nuovo tastierista al posto della defezionaria Morgan Lhote. Gli Stereolab hanno un’ attitudine molto “anni settanta”. La musica è al primo posto insieme ai concerti e al contatto con il pubblico. Per questo non vedrete un loro video su MTV ma saranno impegnati a suonare in Inghilterra, negli States, in Sudamerica. “Sound-Dust”, distribuito in Italia dalla CGD/East West, è stato realizzato a Chicago da John McEntire dei Tortoise e Jim O’Rourke con la collaborazione di Sean O’Hagen degli High Llmas. Ecco le parole di Tim Gane poco prima di un concerto gratuito a Roma insieme ai Blonde Redhead. Uno show che ha riscosso un buon successo anche se purtroppo limitato a un’ora scarsa di durata.

– Ho sentito dire che “Sound-Dust” ha un suono più accesibile dei vostri lavori precedenti. E’ vero?
“Molta gente lo ha detto, forse è vero. Ma non era certo una cosa prevista, è solo il modo in cui è stato realizzato che fa pensare a ciò. All’inizio il materiale era piuttosto cupo è un po spettrale poi, dopo un tour in Sudamerica tra Cile, Brasile e Argentina, ho deciso di scrivere musica più pop, forse influenzato da quei luoghi. Il nuovo lavoro puo sembrare differente dai nostri primi album ma io vedo comunque dei collegamenti, alcune cose sono ancora lì. Certo non cambieremo noi stessi per vendere più dischi.”

– Nel disco ho sentito dei suoni e degli arrangiamenti particolari. Dal vivo penso non siano facili da riproporre. Passate molto tempo in studio?
” Per “Sound-Dust” abbiamo impiegato quattro mesi e mezzo, lo stesso tempo per il disco precedente “Cobra And Phases Group Plays Voltage In The Milky Way”. Noi non facciamo prove prima di entrare in studio, a differenza di molti gruppi che vanno in sala di registrazione sapendo perfettamente cosa fare. Io preparo inizialmente una cassetta con alcune idee e poi vediamo sul posto come si sviluppano le cose. Mi piace sperimentare e provare cose nuove anche se è vero in concerto abbiamo una strumentazione più scarna e alcune cose, come i fiati, vengono chiaramente a mancare. “

– Com’è il rapporto con Jim’O Rourke, iniziato con “Emperor Tomato Ketchup” nel 1996?
“Con Jim O’ Rourke e John McEntire c’è una situazione speciale che va oltre il solito rapporto “produttore-band” e questo ci aiuta sicuramente. Anche Sean O’ Hagen è molto importante, lui sceglie il suono giusto delle tastiere”.

– Voi utilizzate, sia in studio che in concerto, gloriose tastiere come il Moog o il piano elettrico. Pensi siano speciali?
“Hanno un sound inconfondibile, aiutano gli accordi e le melodie a venir fuori meglio. Questa sera dovevo usare un organo Farfisa ma si è rotto e utilizzerò un programma digitale molto simile. Ho imparato a usare strumenti digitali quando collaborrammmo con i Mouse On Mars e vidi l’uso intelligente che ne facevano.”

– Nel gruppo convivono diverse nazionalità, inglesi, francesi, americane. Questo influisce sulla musica?
“Tutti noi viviamo a Londra ma penso agli Stereolab come a un gruppo internazionale, non legato a una particolare scena. Per questo abbiamo registrato i dischi a Chicago come in Germania e facciamo tour in tutto il mondo. La musica è un linguaggio universale senza confini.

– So che sei un ottimo intenditore di musica. Quali sono le tue influenze principali?
“Ho un periodo particolare per ogni artista. Ad esempio adoro le Mothers Of Invention ma non il Frank Zappa solista, neanche quello di “Hot Rats” che pure è il suo capolavoro. Così, ad esempio, preferisco i Pink Floyd di “Atom Heart Mother” e “Live At Pompei”, gli ultimi Beatles, la trilogia elettrica di Dylan, Todd Rundgren solista senza gli Utopia. Penso che i Beach Boys abbiano fatto dei buoni dischi ininterrottamente sino al 1974. Ascolto molte cose. Ammiro gruppi come i Caravan e i Soft Machine perchè hanno saputo contaminare diversi linguaggi. Mi piace parecchio la musica francese anni 60 o Morricone…”

– Ti è mai capitato di ascoltare qualcosa del rock italiano?
“Beh, mi ricordo tanti anni fa alcune cose della PFM, dei Goblin non mi dispiacciono dischi come “Profondo Rosso”(lo pronuncia in italiano n.d.r) o “Suspiria”. Ma trovo difficile ascoltare ascoltare gruppi come gli Yes. Nel progressive ci sono troppe note, almeno per me. “