MARK OLSON AND THE CREEKDIPPERS, December’s Child (Dualtone Music Group, 2002)

Da qualche parte, nel grande cuore dell’America, ci devono essere ancora posti in cui le torte di mirtilli vengono lasciate a raffreddare sui davanzali delle finestre, per essere portate alla festa del rodeo annuale o al matrimonio di qualche cowboy: è l’America che vive da sempre nelle canzoni di Mark Olson.

Dopo aver lasciato i Jayhawks, con cui aveva inciso quelle delizie di roots rock che sono “Hollywood Town Hall” e “Tomorrow The Green Grass”, Olson si è ritirato a Joshua Tree, nel deserto della California; assieme alla moglie, la cantautrice di culto Victoria Williams, ha continuato il suo percorso nella tradizione americana, sempre più libero dai compromessi dello star system e delle major discografiche. Olson infatti è un’artista indipendente, e incide tutto nello studio che si è fatto in casa (mentre i Jayhawks, rimasti nelle sole mani di Gary Louris, hanno preso direzioni più pop): il risultato è ancora una volta un saporito miscuglio di aromi dell’America rurale, che spaziano dal country rock alle ballate piene di violini dal sapore vagamente celtico (parlando di “roots”…).

Come una vecchia locomotiva a vapore, questo “December’s Child parte lento, sulle indolenti percussioni indiane che aprono la dolceamara “How Can I Send Tonight”: un pigro e dondolante andamento che si mantiene, nonostante le tenui inflessioni soul di “Alta’s Song”, lungo buona parte dei brani. Tra i picchi dell’album, c’è sicuramente la title-track, che rotola su di un ficcante arpeggio di chitarra acustica, su cui si innestano il violino e la tranquilla voce di Olson; subito a seguire, arriva la piccola perla di malinconia di “Nestrand Woods”, dove aleggia un senso di perdita, di nostalgia, evocato dalla voce eterea e l’armonica della Williams, che fanno eco alle parole di Olson.

Alla struggente ballata per pianoforte, archi e fiati di “Cactus Wren” fa da contraltare “Climb These Steps”, un movimentato e canonico country rock che accelera un po’ il passo per il finale. Dove arriva anche la chicca: Gary Louris, il vecchio compagno dei Jayhawks, co-autore di “Say You’ll Be Mine”, un brano gradevole che non può non fare tornare la memoria a “Clouds” o “Two Angels” (pur se in chiave inevitabilmente minore). Chiude l’ironica e aspra “One Eyed Black Dog Moses”, arrochita dal wha wha e trafitta dagli interventi della voce insinuante di Victoria Williams. Nessun trucco, nessun inganno: sono soltanto buoni e vecchi ingredienti, dulcimer e violino, pedal steel guitar e armonica, che fanno di questo “December’s Child” un disco onesto e sincero come le vecchie ricette. E se passate da Joshua Tree, Ca., sicuramente Mark e Victoria saranno felici di offrirvi una fetta di quella crostata di mirtilli.

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