LA CRUS, Dietro la curva del cuore (Wea, 1999)

Se “Dentro me”, uscito nel 1997, ha rappresentato la maturità artistica dei La Crus, questo “Dietro la curva del cuore” uscito due anni dopo è un lavoro che trova nuovi sviluppi, a dimostrazione che i La Crus non vogliono restare prigionieri di formule o cliché.
In particolare l’atmosfera è meno scarna ed essenziale, più curata e lucida. Più lontana dai cantautori se si vuole. Solo in qualche episodio isolato tornano i suoni consueti e lo spazio è lasciato alle chitarre acustiche, come nella straziante “Natale a Milano” e nella tenera “Stringimi ancora”. Per il resto c’è un’apertura a suoni lievi, una delicatezza affascinante e meno introspezione.
Si resta cullati da suoni lievi, da un atmosfera di leggerezza pesante come quella descritta da Italo Calvino nelle “Lezioni Americane”.
Leggerezza che significa profondità, abbandonarsi alle proprie emozioni, suonare lievi anche quando ci si sta mettendo a nudo. Succede sin dall’inizio, nei versi “Io voglio amore/ Sentire fino a non capire” del crescendo orchestrale di “Soltanto amore”, e nella bellissima “L’uomo che non hai”, affidata a piano e ritmo incalzante. O ancora nella malinconia racchiusa tra gli accordi sognanti di “Senza far rumore” o nelle trame di chitarra acustica della superba “Le cose di ogni giorno”.
I La Crus sbriciolano il dolore in dolcezza infinita, in suoni sospesi e lievi, in una malinconia che si scioglie in tenerezza estrema, come in “Diritto a te” e “E’ andata via l’estate”.
Quando invece i suoni si induriscono e il ritmo sale arrivano sprazzi di rock come “Anche tu come me”, in duetto insieme a Carmen Consoli, e come il singolo “Un giorno in più (insieme a te)” costruite sulle chitarre elettriche.
Un dolce naufragio.

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