SUBSONICA, Subsonica (Mescal, 1997)

Sembra un po’ di vivere uno di quei telefilm degli anni Settanta, quelli dai colori accesi e dai ritmi irrequieti, quelli che si vedono un po’ sgranati attraverso lo schermo. Sembra che questi colori e ritmi siano stati rubati alla loro dimensione per essere immersi in un’essenza nuova, inusuale, sotterranea. Questo è il primo lavoro dei Subsonica, cinque musicisti dalle esperienze diverse che hanno incrociato le loro strade in una città come Torino, città che di quella musica “sotterranea” sa bene intendersi.
A farsi largo per primo nel traffico del mondo è il singolo “Istantanee”, con le sue linee d’archi ad addolcire il ritmo sincopato delle batterie distorte. E non è reggae, ma non è neppure semplice melodia. Così come “Cose che non ho”, uno dei singoli più popolari dell’album, che del ritmo giamaicano è completamente avvolto, ma pure impreziosito da organi (sì, organi… e dunque?) ed indurito da una chitarra che graffia.
E se ad alcuni può sembrare apparentemente bizzarro parlare di organi, che dire di “Onde quadre”, dove il cantante Samuel filtra la propria voce
attraverso un megafono? Il suono è ancora costruito, distrutto e poi di
nuovo deformato nell’eterea “Giungla nord” che presenta nei battiti della
batteria il cuore caldo di una città di nebbia e cemento.
Metropoli che lancia una sfida nuova ogni giorno, metropoli che è comunque rifugio e viene rievocata anche in “Nicotina groove”, sinuosa, impalpabile come l’aria fredda del mattino, quando il pulsare frenetico di una nottata ai Murazzi si spegne in un dolce limbo boreale. L’atmosfera è opera del tastierista ed addetto ai campionamenti Boosta, così come quella di “Funkstar”, la quale prende proprio spunto dalla storia del dj.
Vecchi brani scritti in precedenza riprendono vita, acquistano nuove vesti
dopo essere stati filtrati tra drum’n’bass e ritmi dispari, cosa che accade
ad esempio per “Momenti di noia” e “Preso blu”, quest’ultimo composto dal chitarrista C-Max per il precedente gruppo, gli Africa Unite. Di tempi
dispari si parla invece ancora in “Velociraptor”, primo pezzo in assoluto
sperimentato dai cinque, che rivela in modo lampante la meticolosità del
batterista Ninja nel svolgere le proprie mansioni, la sua perfetta intesa
con la silenziosa figura di Pierfunk, addetto al basso.
Ma lo spirito di squadra subsonico non esclude le collaborazioni. “Come se”, pezzo di apertura ispirato alla vita carceraria (dal vivo sempre dedicato a Silvia Baraldini) nasce in collaborazione con il poeta Luca Ragagnin, amico della band. “Non identificato” non è da meno ed ospita Roy, trombettista dei Mau Mau e Fabio Gurian al sassofono ed agli arrangiamenti, mentre la musica scorre ispirata a vecchi telefilm di fantascienza. Sì, il campionamento iniziale arriva direttamente da “Ufo”.
Il cerchio si chiude, torniamo a quelle atmosfere iniziali di anni Settanta,
un po’ riscaldate dal sole delle spiagge giamaicane, un po’ condite dalle
apparenti stranezze di chi farebbe di tutto alle corde della propria
chitarra per ottenere il giusto sound. “Radioestensioni” è forse il pezzo
più famoso del disco per la sua orecchiabilità, ma nel profondo tutto questo cammino lo tiene ben stretto. Il cammino di un suono nuovo, un suono nuovo che scorre nelle profondità per risalire pian piano, avvincerti e non lasciarti più nella banalità dello scontato.

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