CAMEL, Rain Dances (Decca, 1977)

Il quinto capitolo della Saga del Cammello vede la luce in piena esplosione punk. La degenerazione del fenomeno Progressive, con i suoi sempre più inutili barocchismi a scapito del contenuto, ha come effetto positivo quello di avvicinare i giovani verso un suono scarno, sporco, rozzo e spesso parecchio incazzato. Suona quindi molto strano e quasi buffo ascoltare “Rain dances”, riferendolo a quel turbolento 1977. D’altra parte, questo è ciò che il gruppo di Latimer e Bardens sapeva fare, e bisogna ammettere che in questo album la qualità non manca.

Perduto il bassista originale, Doug Ferguson, il sostituto non si fa attendere ed è di assoluta eccezione: nientemeno che Richard Sinclair, ex Caravan ed ex Hatfield & The North. Egli, oltre ad essere uno dei più apprezzati bass players della scena britannica, porta anche il suo tipico timbro vocale in un complesso più preoccupato del lato strumentale. La già bella “Metrognome” viene nobilitata dalla sua voce vellutata, un po’ monocorde, assolutamente rassicurante. E’ davvero piacevole notare questo incontro fra il sound tecnico, preciso e scintillante di Ward, Latimer e Bardens e le radici prog-agresti di Lord Sinclair. Come membro esterno troviamo inoltre l’onnipresente Mel Collins, sassofonista eccelso che presterà manodopera a centinaia di gruppi. Se “Snow goose” è spesso considerato dalla critica come la più bella oasi raggiunta dal nostro Cammello, confesso la mia propensione per il duo “Moonmadness”/”Rain dances”, fra i pochi esempi di temporanea estasi compositiva messa al servizio di virtuosismi veraci, mai fastidiosi. “Highways of the sun” (molto poppy), la proto Eno/Sylvian/Fripp “Elke” e la citata “Metrognome” spiccano in un album molto bello e sottovalutato.

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