PAOLO CONTE, Appunti di viaggio (RCA, 1982)

Eccezionale. Il rischio di ripetersi è praticamente una realtà, ma le creazioni di Conte sono ormai talmente livellate verso una stratosfera qualitativa che non si riesce a trovare aggettivi adatti per spiegarle e descriverle. Le otto tracce di “Appunti di viaggio” sono autentiche meraviglie sonoro-letterarie ed alcune tra loro diventeranno degli autentici must nei sempre più affollati concerti dell’artista. Pensiamo, per esempio, alla cavalcata di “Diavolo rosso”: sarebbe strano pensare ad un’esibizione live senza questa schitarrata parossistica, una caricatura western ornata nel tempo da fiati di impronta ottomana. E poi “Dancing”, con il suo incalzare che fa un occhiolino al Sud America ed un altro al jazz. “Lo zio”, probabile omaggio al vero zio di Conte, il quale pare fosse persona degna di grande ammirazione da parte di Paolo e del fratello Giorgio, è un tuffo temporale negli anni ’20, al tempo del ragtime e della musica che commentava le comiche del cinema muto; l’effetto è geniale ed originale. Meravigliosi sono gli spunti melodici che caratterizzano capolavori come “Fuga all’inglese”, “Hemingway” e “Nord”. Questi ultimi due pezzi si stagliano soprattutto per una fase finale memorabile, due crescendo che ammirano e rapiscono, facendo balenare pensieri e accostamenti che sembrano al momento quasi improponibili. Eppure, il tempo sarà galantuomo, e ci confermerà che Gershwin, Glenn Miller e le grandi Big Bands americane rivivranno, dolcemente attualizzate, nello stile di un abitante del profondo Piemonte, Italia.

Giocando con la nostra frase, era fatale imbattersi ne “La frase”. “Se la frase arriverà…”, recita l’inizio della canzone, ed in effetti sta per arrivare, ma non da “La frase”. ” …è là (sotto ai sofà, ndr) che lui (il tempo, ndr) tiene la sua accademia, sotto lo sguardo vitreo dei bicchieri di Boemia…” (da “Fuga all’inglese”)

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